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GiuridicaMente - L’INADEMPIMENTO DEL FORNITORE NEI CONTRATTI COI CONSUMATORI

da GiuridicaMente del 17.6.2013

L’INADEMPIMENTO DEL FORNITORE NEI CONTRATTI COI CONSUMATORI

Cosa succede al privato, o ad una famiglia, che compra dei mobili, un elettrodomestico, o una “stufa a pellet”, ovvero un corso di lingua straniera o di fitness, grazie a un finanziamento di una banca (o di una società finanziaria), che versa direttamente il denaro prestato nelle mani del fornitore di detti beni o servizi, e il fornitore non rispetta gli impegni assunti, e così il corso (di lingue o fitness) non si tiene o la mobilia, l’elettrodomestico o la “stufa a pellet” non vengono consegnati o vengono consegnati seriamente danneggiati?

Il  “consumatore” (il privato o la famiglia di cui sopra) si troverà tra due fuochi, chiamato a fronteggiare, da un lato, la lite col fornitore e, dall’altro, costretto a continuare a pagare le rate di rimborso del finanziamento alla banca?

O vi è qualche rimedio previsto dalla Legge?

A tale quesito, che  – purtroppo – tocca situazioni tutt’altro che infrequenti nella vita di tutti i giorni, dà risposta, apprestando tutela sostanziale a favore del “consumatore” verso la finanziatrice (la banca, ad esempio), una recente normativa, introdotta nel Testo Unico Bancario (il d. lgs. n. 385/1993, che disciplina appunto l’attività bancaria e finanziaria – il “TUB”, in breve), del quale abbiamo cominciato ad occuparci in un precedente articolo comparso su questo blog, nel quale si è descritto il ruolo Arbitro Bancario Finanziario in materia di contestazioni con le banche. E alle decisioni dell’ABF ci rifacciamo, per altro, anche per il tema che adesso ci occupa, perchè la novità della materia comincia solo adesso ad interessare taluni tribunali, mentre l’ABF, quale organo rapido di soluzione di controversie nei servizi e prodotti bancari, è stato invece chiamato in gioco già in numerosi casi della tipologia che qui interessa, e pertanto ha dato applicazione più celermente alle norme del TUB che qui descriviamo.

Con l’accoglimento in Italia della Direttiva Europea su Credito ai Consumatori (2008/48/CE), attuata col d.lgs. n.141/2010 di modifica del TUB, il nostro Legislatore è intervenuto in modo consistente nella materia dei rapporti contrattuali tra finanziatore e “consumatore”, riconoscendo a quest’ultimo tutta una serie di tutele e diritti e, tra questi, le misure che scattano nella vicende sopra descritte.  Secondo la terminologia giuridica, che proveremo a spiegare in termini semplici (o almeno speriamo di riuscire a farlo), ci troviamo di fronte al così detto “inadempimento del fornitore nei contratti coi consumatori”.

Ma andiamo con ordine, precisando quali sono i casi effettivamente protetti dalla norma e in che maniera.

La previsione di legge è quella dell’art.125 quinquies del TUB che stabilisce che il “consumatore “, che conclude un “contratto di credito collegato” all’acquisto di un bene o un servizio,  ha diritto alla “risoluzione” del “contratto di credito” se la fornitura è viziata da un “grave inadempimento” del fornitore.

In queste ipotesi, la risoluzione del “contratto di credito” fa nascere l’obbligo della finanziatrice di rimborsare al “consumatore” le rate del prestito già pagate (nonché ogni altro onere eventualmente applicato), e il “consumatore” è liberato dall’obbligo di rimborsare l’importo già versato dalla banca al fornitore di beni o servizi.

Sarà infatti la banca, come appunto prevede l’art.125 quinquies del TUB, ad avere l’onere, oltre che il diritto, di chiedere indietro al fornitore il prestito concesso al “consumatore” e versato in pagamento del prezzo di acquisto.

Presupposti : un finanziamento al consumatore

Deve innanzitutto essersi in presenza di:

-       un “consumatore”, ovvero (secondo l’art. 121 del TUB) una persona fisica che agisce al di fuori della propria attività di impresa, professionale, commerciale o artigianale da lui eventualmente svolta,  e

-       un “contratto di credito”, cioè un contratto con cui un “finanziatore” (un soggetto abilitato ad erogare finanziamenti a titolo professionale : una banca o una società finanziaria) concede un credito, ossia una dilazione di pagamento, o un prestito o un’altra facilitazione finanziaria (si noti però che deve trattarsi di un prestito di un importo fra 200 e 75.000 euro, e vanno esclusi dai rimedi in commento pure i finanziamenti per l’acquisto o la conservazione di immobili, e i mutui garantiti da ipoteca superiore a 5 anni).

Presupposti : il contratto di credito collegato

Il prestito deve essere destinato esclusivamente a pagare la fornitura di un bene o di un servizio; il che accade (sempre secondo l’art. 121 del TUB) se ricorre almeno una delle seguenti condizioni (in presenza delle quali, appunto, si parla di un “contratto di credito collegato”):

    1. il finanziatore si avvale del fornitore del bene o del prestatore di servizi per promuovere o concludere il prestito;
    2. il bene o il servizio specifici sono esplicitamente individuati nel contratto con cui si concede il prestito.

V’è da dire che, in realtà,  le due ipotesi sopra indicate sono entrambe molto frequenti nelle operazioni che si hanno in mente.

E di fatti: la prima ipotesi ricorre ogniqualvolta che tra il finanziatore e il fornitore sussiste una relazione stabile, non occasionale, formalizzata tipicamente in un accordo di convenzionamento, in base in quale il fornitore (c.d. dealer, nel linguaggio del mondo finanziario) è incaricato di pubblicizzare e promuovere la conclusione di contratti di credito destinati all’acquisto dei beni o servizi dello stessodealer (situazione tipica nella vendita di beni di consumo “a rate”, ossia pagati in contanti al dealer, tramite prestito di una banca).

La seconda ipotesi è pure altrettanto consueta, considerato che l’indicazione dello specifico bene o servizio nel contratto con cui è concesso il prestito, così come in quello di vendita, è fatta pure nell’ interesse del fornitore per evitare o ridurre contestazioni circa le caratteristiche dei beni o servizi venduti.

Presupposti : l’inadempimento grave del fornitore e la sua messa in mora

Ed eccoci alla fase, per così dire, patologica della vicenda: i problemi della vendita al momento dell’adempimento. Siamo nei casi di una mancata esecuzione degli impegni assunti col contratto di fornitura da parte del dealer . Non deve però trattarsi di una qualsiasi mancanza, ma bensì di un inadempimento “grave”. L’art.125 quinquies del TUB richiama in proposito l’art. 1455 del codice civile il quale, in tema di risoluzione dei contratti per inadempimento di una delle due parti, richiede appunto che questo inadempimento, che il giudice è chiamato a verificare e decidere,  non deve avere o essere di “scarsa importanza”.

Secondo la lettura data dalla prevalente giurisprudenza, la “non scarsa importanza” (la “gravità” dunque) deve essere valutata applicando un parametro oggettivo ed un parametro soggettivo. Secondo il parametro oggettivo, l’inadempimento (per non essere di “scarsa importanza”) deve aver inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (sia in astratto, per la sua entità, e sia in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente : tipico il caso più serio della mancata consegna della cosa venduta o la consegna solo in minima parte).  Per il parametro soggettivo, va valutato, invece, il comportamento di entrambe le parti in presenza del mancato adempimento (un atteggiamento non colpevole, una tempestiva riparazione ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell’altra) che, può, in relazione alla particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità, nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata.

In presenza di un inadempimento grave (di cui daremo taluni semplici esempi più avanti ricorrendo  alla decisioni dell’ABF), il consumatore deve “costituire in mora” il fornitore, e, nonostante questo sua contestazione o diffida, il fornitore rimane inadempiente. A tal proposito, leggendo le decisioni delle ABF, il consumatore deve in pratica eccepire al fornitore il mancato o inesatto adempimento, dargli magari un termine per rispettare i patti della vendita, minacciando, in caso contrario, il “venir meno” della vendita.

In ogni caso, all’acquirente non è richiesto certo di iniziare un’azione giudiziale.

Effetti: La risoluzione del contratto di finanziamento

Al verificarsi dei fatti sopra descritti, il consumatore ha diritto, in buona sostanza, a sciogliersi dagli impegni assunti con il contratto di finanziamento, con una comunicazione unilaterale (tecnicamente ricostruita, dai maggiori commentatori delle norma qui in argomento, come la comunicazione di recesso di cui all’art.1373 del codice civile) con le conseguenze che seguono: il consumatore ha diritto ad avere indietro le rate già rimborsate alla banca (e gli altri oneri sopportati per la concessione del prestito) e sarà la banca a dover chiedere al fornitore la restituzione di quanto a quest’ultimo versato in sede di erogazione del finanziamento a pagamento della cosa acquistata.

La norma in commento non si occupa invece dell’efficacia del contratto di fornitura o di vendita . Il privato quindi potrà chiedere la risoluzione del contratto, o il risarcimento del danno al fornitore, con azione autonoma.

Precedenti dell’Arbitro Bancario e Finanziario

I casi portati davanti all’ABF- dopo l’inutile invio del reclamo alla banca per contestare l’accaduto e ottenere la liberazione dal prestito in presenza di un mancato adempimento del fornitore – hanno visto le decisioni di questo Organo esprimersi a tutela del “consumatore” tutte le volte che i presupposti sopra descritti sono stati appurati esistere. E pur non potendo l’ABF emanare un provvedimento avente efficacia di sentenza tra le parti (esso infatti – come detto nel precedente articolo pubblicato in questo blog – non fa parte dell’Autorità Giudiziaria), quelle volte che il Collegio interessato ha potuto costatare dalla documentazione prodotta il grave inadempimento della fornitura, ha considerato “risolto o non più efficace” il prestito e ha ordinato alla banca la restituzione delle somme alla stessa versate dal consumatore in rimborso del contratto di finanziamento. Al riguardo può dirsi che esiste già una casistica di precedenti tra le decisioni dell’ABF.

Ciò è accaduto, ad esempio, nel caso dell’acquisto di: mobili consegnati solo in parte; impianti fotovoltaici non realizzati entro il termine pattuito; corsi di inglese interrotti; una “stufa a pellet”  difettosa e non riparata efficacemente. Tutti casi nei quali dunque, secondo i principi sopra ricordati per valutare il non adempimento del fornitore, l’ABF è stata in condizioni di poter qualificare “non lieve” e quindi “grave” l’inadempimento del fornitore.

E posto che in alcuni casi si trattava di imprese e aziende in difficoltà, poi talvolta effettivamente fallite, la facoltà del consumatore di poter chiudere in maniera rapida quanto meno il rapporto con la finanziatrice si è rivelato, a prescindere dalla sorte dell’acquisto della cosa, un risultato importante.

Avvocati Chiara Romeo e Gianfranco Tita di Milano, esperto di diritto bancario e finanziario.